martedì 5 marzo 2013

cronaca di un sabato lunghissimo

Ore 3.45, è la sveglia. Certo che una sveglia a quell’ora è proprio fastidiosa. Anche se sapendo della levataccia avevo tentato di rendere meno pesante quel momento andando a dormire piuttosto  presto il suono famigliare della sveglia è particolarmente fastidioso.
Accendo la luce, stropiccio gli occhi con le mani, mi convinco che è arrivata l’ora.
Oggi è il grande giorno, si parte.

E’ tanto tempo che aspetto questo momento,  conquistato come all’improvviso mentre ricercando l’attimo  ottimale per non creare problemi sul lavoro, in famiglia, nelle varie attività giornaliere,  improvvisamente tutti i tasselli sembrano disporsi magicamente consentendo l’incastro dell’uno nell’altro e approfittando del momento favorevole compro il biglietto aereo.
Non ho bisogno di particolare organizzazione o meglio, ne avrei bisogno e anche parecchia, ma per paura di dovere ancora una volta posticipare o rinunciare scommetto non avrò problemi e finisco con il partire senza ben sapere cosa potrà accadere.
Faccio la doccia, mi preparo, saluto i miei che (poveretti) anche questa volta non mi lasciano partire senza salutarmi con un poco di apprensione e Antonio è fuori dalla porta per portarmi all’aeroporto.
Chiacchieriamo tranquilli durante il viaggio su strade completamente senza traffico ed ecco che, in pochissimo tempo,  sono già arrivato alla prima destinazione, o meglio, al primo punto di vera partenza.
Checkin, passaggio al controllo di polizia e sono pronto, aspettando pazientemente il primo aereo che mi porterà a Madrid. Tutta la tensione degli ultimi giorni si è sciolta, sono rilassatissimo. Chiamano il mio volo, si parte.
Tutto procede tranquillamente e nella prima frazione di viaggio di un paio d’ore mi appisolo e riposo e in un attimo (per me) sono all’aeroporto di Barajas a Madrid. Bellissimo aeroporto, moderno, facile da utilizzare nonostante le enormi distanze che ci si trova a dovere superare per passare dalla zona voli europei a quelli intercontinentali. Trovo subito le indicazioni per la mia porta d’imbarco che i cartelli mi danno a 25 minuti di distanza. Una serie di scale mobili, qualche ascensore e un treno che mi avvicina alla mia meta che raggiungo con una serie di nastri trasportatori comodissimi. Eccomi nella zona di attesa dove incontro coloro che con me condivideranno un volo di oltre 11 ore.
Si riparte, l’imbarco è lunghissimo ma l’aereo parte abbastanza puntuale. Non mi rimane che tentare di rilassarmi per rendere un po’ più sopportabile e meno faticosa questa lunga tratta.
Niente da fare, nonostante gli intermezzi dati dal pranzo, la proiezione di alcuni film, la merenda, qualche pisolino  etc.etc. il viaggio è incontestabilmente lunghissimo. Raggiungo Bogotà alle 17.30 locali ma che corrispondono alle 23.30 ore italiane.
Ultimo spostamento in un grande aeroporto e dopo avere fatto dogana raggiungo la porta di imbarco. Diversamente da quanto accaduto a Madrid posso connettermi a internet (qui il wi-fi è gratis a Madrid 5,00 euro per mezzora) cominciando ad avvisare casa che è tutto ok e coloro che andrò ad incontrare nei prossimi giorni che sono in arrivo regolarmente.
Ore 19.30 parte  l’ultima tratta Bogotà/Cartagena destinazione del mio viaggio; sono sempre più rilassato e, mi definirei sereno. Ero partito da casa ben coperto per il freddo, a Bogotà ho eliminato la giacca e sono pronto in questa ultima tratta a rimanere in maniche di camicia.
Il volo passa tranquillissimo e mi ritrovo a condividere i posti a sedere con una ragazza che mi da modo di esercitarmi in spagnolo ma soprattutto di esercitarmi in quello che sta diventando il mio sport preferito durante i viaggi ovvero la raccolta spasmodica di informazioni e curiosità circa gli usi e i costumi.
Lei,  pazientissima,  mi sopporta e risponde alle mie domande e “in un attimo” (così mi sembra) stiamo già atterrando. Mi spiace perdere questa simpatica compagnia così presto, le passo un biglietto da visita e la invito a cena . . .  chissà se accetterà, per ora se la ride.
Sono fortunatissimo, la valigia arriva praticamente subito e visto il contenuto deperibile (porto sempre con me regali gastronomici per i miei amici) ringrazio il cielo non sia andata persa e non la debba recuperare tra qualche giorno. Il calore dei luoghi e il salame, oltre al formaggio,  contenuto nella valigia trasformerebbero rapidamente il bagaglio in una bomba batteriologica.
Sono a Cartagena! Mi sento quasi come a casa . . .  no forse mi sento più a casa che a casa. Questa città è diventata la mia seconda patria.
Sono le 21.00 ora locale e sono in viaggio da 23 ore, sono stanco ma soddisfatto. C’è caldo, come sempre,  ma anche una brezza deliziosa che sale dal mare. Con un taxi raggiungo il mio hotel, appoggio i miei bagagli e approfitto per fare due passi nella notte in questa meravigliosa città. Al mattino ero partito dall’Italia con ancora evidenti le tracce dell’ultima nevicata e ora sono in maniche corte e circa 30 gradi nell’aria.
Mi sento bene anche se la stanchezza comincia ad assalirmi; Passo dal Generale Pino e sua moglie Rosy per lasciare loro un pezzo di Parmigiano, incontro un paio di minuti la mia amica Yessenia per la quale ho comprato alcune cose in Italia e resto con lei il tempo giusto per accorgermi che il viaggio è stato veramente lungo e stancante. Mi dispiace ma devo andare a dormire . . .  domani mi aspetta la prima giornata Cartagenera.


lunedì 31 dicembre 2012

Basta poco

Basta poco. . .  ma poco quanto?
Poco!
Ma per cosa? Con tutti i problemi che abbiamo . . . c’è la crisi, il lavoro che manca, l’insicurezza, il denaro insufficiente. . . e il futuro? Che dire del futuro? Come è difficile “tirare avanti” , resistere,  e come è complicato tutto . . .tutto!
Questo è  il mantra quotidiano, disfattista, lamentoso e . . .senza volere offendere nessuno . . .  ipocrita che pervade le nostre giornate. Diciamoci la verità, è proprio necessario cercare le colpe e scagliarci continuamente (a parole) contro coloro che queste colpe pare abbiano? Cambia qualcosa in noi tranne lasciarci ancora più rancorosi e terrorizzati nelle nostre paure?
Siamo diventati un branco di repressi depressi, che si lanciano in  battaglie contro gli eretici (chi non la pensa  come noi), abbiamo le soluzioni in tasca per cambiare il mondo che deve essere rivoltato come un calzino ma, guarda che strano, cominciando sempre dagli altri.
Ma non suonano stonate queste affermazioni? Tutti abbiamo la soluzione, spesso è condivisa ma, nulla cambia.
Va beh, rientriamo nella categoria dei repressi, depressi, complottisti che ritengono  “basterebbe cambiare questo o quello” ma i cattivi, che di momento in momento cambiano faccia e nome a seconda della nostra necessità di giustificarci edi lavare un poco la nostra coscienza,  ce lo impediscono.  Che pena facciamo.
Pochissime persone o categorie di persone (ovviamente di cui noi non facciamo mai parte; strana ulteriore coincidenza vero?) sono la rovina di tutto. Ma, mi domando, è possibile? E poi tutto tutto? O qualcosa che non funziona potrebbe essere nostra responsabilità? Possibile che siamo solo vittime? E ancora … possibile che noi, i nostri amici,  i nostri parenti,  i nostri cari siamo nel giusto, senza responsabiltà alcuna mentre tutto il resto del mondo invece . . . . No è veramente ridicolo questo atteggiamento! Non possiamo sperare di cambiare il mondo con questa attitudine ipocrita mentre con tante piccole azioni quotidiane sicuramente sì.
Credete forse che alleviare una solitudine, portare un po’ di gioia, dare consolazione o aiuto (morale e materiale) non sia cambiare il mondo? Non significhi migliorarlo? Sicuramente mi si dirà:<< ma hai idea di quanta gente è in difficoltà? Quanta gente ha fame? (Già andiamo meglio con questa domanda siamo passati dal nostro egoistico piccolo dolore a un dramma mondiale).>>
E allora? Che facciamo? Visto che nessuno di noi può nutrire tutti gli affamati del mondo non faremo nulla perché tutto è inutile? E se cominciassimo a sfamarne uno? Ad aiutare una persona che è in difficoltà? Che ha bisogno? Magari vicino a noi . . . un amico un parente una persona che bussa alla nostra porta.
Se cominciassimo ad essere appena appena un po’ più generosi (ma proprio poco!) tutto cambierebbe.
Che ne dite,  ce la facciamo a trasformarci da "inutili ipocriti depressi repressi" in soluzione del problema?
Basta poco, ma veramente poco, solo un po’ più di attenzione e di generosità. Eccovi la prova provata, quasi un esperimento sociologico. Prendete una donna che vive per strada in una metropoli come Bogota, aggiungeteci un fotografo con una idea tanto semplice quanto “normale” nella nostra vita, ponete un po’ di attenzione e rispetto nei confronti di una persona sfortunata ed ecco il risultato.
Qui il video in spagnolo ma sotto riporto una mia traduzione di quanto scritto dall’autore (Emilio Aparicio Rodríguez) di quanto accadde due settimane fa.
Auguro a tutti voi che capitate in questa pagina ciò che la signora Andrea Chaparro dice nel finale del video
“CHE SI POSSA ESSERE TUTTI FELICI”


17 dicembre 2012
10:00 del mattino

Era ancora presto, ma mi presero l’impazienza  e l’ansia. La città sembrava svuotata  e il  Transmilenio (la metropolitana leggera della città di Bogota  NdT) testimoniava come sempre più persone lascino la città per le vacanze viaggiando in questo periodo di  feste di fine anno. Un momento in cui si  aspetta con ansia che arrivi il momento di aprire i regali di fronte a un bellissimo albero di Natale coperto di luci con forme e colori, dove i più superstiziosi sono pronti per la fine del mondo e tutti gli altri in attesa di iniziare l'anno nuovo, il 2013.
I semafori mi facevano sentire sempre più ansioso, ma a poco a poco ho visto quello che c’era di reale in quella giornata. Vedevo uomini sdraiati lungo la strada come leoni marini a prendere il sole nel separadores de la Avenida Caracas, dalla  Calle 59 fino alla 13 (caratteristico modo di descrivere zone della città indicando incroci tra le strade indicata con un numero NdT). Esseri che sembrano incollati al pavimento senza sapere se si sveglieranno un giorno mentre il sole “pizzica” e  riscalda i loro corpi  deboli e solitari. Immerso in questi pensieri andavo ad incontrarla, da un po’ non la vedevo ed erano più di tre mesi che le avevo promesso questo zainetto che lei tanto desiderava per sostituire quello vecchio oramai inutilizzabile. Avrei fatto di tutto per trovarla , con qualsiasi mezzo,  ma arrivando a San Victorino vidi che sarebbe stato quasi impossibile per le migliaia di venditori ambulanti che si erano impossessati delle strade per vendere giocattoli, articoli per la casa , abbigliamento e qualsiasi altra golosità. Il traffico era insopportabile e la mia borsa colpiva i passanti che passavano accanto a me. Ho trovato quello che volevo per pochi pesos  e sono andato a cercarla.
I miei occhi cercavano di trovarla tra la gente, ma era come avere una lente che cerca di mettere a  fuoco in automatico un muro bianco, è stato più difficile che trovare un ago in un pagliaio. Il posto dove l’ho sempre trovata è vuoto e il sole in quel momento “picchiava più forte che mai”, si poteva vedere la polvere che si alzava  dal pavimento e rapidamente volava via. Mi demoralizzai ... Il cuore mi batteva forte pieno di paure e domande circa la sorte di Andrea Chaparro. Decisi di continuare a cercarla senza perdere tempo e quasi volando mi trovai al Eje Ambiental  guardando con cura intorno a me. Ho cominciato a  mettere a fuoco ciò che avevo intorno a distanza e forse riconoscere la donna che cercavo e speravo di abbracciare in questo giorno per festeggiare il suo compleanno... Era là e fu facile capirlo per la posizione in cui sempre si metteva, così sottile e quasi crollata contro un muro; con lei Lulu, la sua cagna che la accompagnava come sempre. Ero felice! Tanto che sono ritornato indietro, ho comprato delle ciambelle e giù di corsa il più velocemente possibile per evitare che sparisse come per magia.
Mi avvicinai con attenzione e le dissi: “Felice compleanno Andrea” , la sua emozione fu infinita nel vedermi; come se più di mille milioni di fans che avessero celebrato ieri la vittoria. La gente intorno se ne accorse, ma senza pensarci lei si alzò e mi abbracciò ... ho sentito che la sua voce tremava.
Sono stato in grado di contenere la gioia e la voce non mi tremava affatto e mentre le dicevo che volevo festeggiare il suo compleanno ho alzato la voce per attirare l'attenzione di tutti i presenti, sconosciuti, conoscenti, passanti e venditori chiedendo il favore affinchè mi aiutassero e accompagnassero cantando il "Happy Birthday" ad Andrea. Ho cercato di incoraggiare la gente non ricevendo alcuna risposta,  tutti mi guardavano come ad un pazzo  ed erano disorientati per quello che stavo facendo. Ho perso ogni imbarazzo e ho continuato a parlare con lei, le ho messo il cappello giallo che mi piace, un collare di fiori, le ho dato una foto che le avevo scattato e avevo promesso di darle e misi una candela sulla ciambellina. Senza tanto pensare la gente ha iniziato a parlare e mi dissero che mi avrebbero accompagnato nel cantare, erano improvvisamente disposti a farlo e lentamente si formò un semicerchio aspettando una ventina di secondi che accendessi la candela ... In quel momento sì,  tremavo,  ed ero felice come non mai, ma quando le scintille  cominciarono a brillare venne  fuori tutto quello che avevo dentro e accompagnato da molti cominciammo a cantare:
“Happy birthday to you! Happy birthday to you! Happy birthday Andrea… Happy birthday to you. Che tu possa compierli felice! Che tu possa continuare a compierli! Che tu li possa continuare a compiere… Fino all’anno 100.000!”
I coriandoli colorati cominciarono a piovere attraverso l'aria e la gente batteva allegramente le mani, si avvicinavano, si congratulavano con la festeggiata e le davano qualche soldino  (cosa che non avrei mai immaginato). Intanto gli occhi di questa donna che conosco da diversi anni si riempirono di lacrime e brillarono più del sole. Non poteva credere a quello che stava accadendo intorno a lei e rideva e solo deglutì con emozione, un'emozione che superava la mia un milione di volte. Senza dire niente le ho dato lo zainetto e a questo punto le ho proposto qualcosa. Ho cercato di darle un pennarello e le ho chiesto di scrivere un desiderio su un palloncino da lasciare salire in cielo ... non sapeva cosa volere, cosa chiedere, e dopo un attimo di silenzio, senza scrivere una sola parola,  ha detto:
CHE SI POSSA ESSERE TUTTI FELICI
E il palloncino volò!
Con lo sguardo al cielo Andrea Chaparro si sentì tra le nuvole, amata e benvoluta da qualcuno, e non solo da me ma da tutti quelli che si diedero da fare per celebrare il suo compleanno. Erano i suoi 47 anni e spero di celebrare al suo fianco molte altre di queste “azioni” che mi vengono dal cuore e sono motivo per me per continuare a combattere per loro
BUON COMPLEANNO ANDREA










mercoledì 28 novembre 2012

Il mio amico Sconosciuto

E’ successo questa sera alle 21.37,  ero già un po’ preoccupato. Ieri nessuna notizia mentre l’altro ieri alle 22.27.
Il giorno prima alle 10.22, quello prima ancora alle 20.31, e poi il giorno precedente 14.47 e così via fino a due settimane fa quando è accaduto per la prima volta (credo).

Con cadenza giornaliera nelle ultime settimane mi ha fatto uno squillo sul telefonino, quasi sempre proprio solo uno squillo tanto da rendere impossibile prendere per tempo il ricevitore, uno squillo con numero nascosto quindi “sconosciuto”.

Lo so, posso sembrare strano, ma questo squillo giornaliero mi piace. Qualcuno, dall’altra parte (non ho idea del perché lo faccia ma non credo con cattive intenzioni),  mi pensa almeno per pochi secondi e trova il tempo di farmi uno squillo . . .  carino no? . . . . Beh forse c’è chi potrebbe dire di no, parlarmi del mio nuovo amico come di persona indecisa o perditempo o “malata”ma a me non da fastidio, continui pure.

La cosa che mi stupisce è che non sono nemmeno troppo curioso di sapere chi è o potrebbe essere.
Uomo? Donna? Per certo in qualche modo mi conosce, forse bene, forse solo in modo superficiale,  chissà perché solo uno squillo o, forse, uno squillo non è “solo” ma un gesto di attenzione non per tutti.

Sul perché non mi è dato di sapere, forse prima o poi “Sconosciuto” si svelerà.
Anche oggi ho avuto in qualche modo sue notizie (lo squillo lo ha fatto) un sorriso me lo ha strappato;  buona notte amico “Sconosciuto” e grazie per il pensiero.


martedì 27 novembre 2012

Autunno


Prendo un po' di tempo per me; scarpe comode, mi copro bene ed esco di casa con un libro sottobraccio.

E' una specie di sport, una vera e propria disciplina sportiva,  che pratico da tempo, mi allontano, direzione strade tranquille verso la campagna e,  mentre cammino spedito leggo.

Sono tutto preso dai miei pensieri ma i sensi sono all'erta, non inciampo, non finisco in buche nè rischio di essere investito,  respiro a pieni polmoni e sono attento e concentrato nella lettura.

Ecco un camioncino mi oltrepassa e sento qualcuno che sporgendosi mi grida un ironico "attento al palo!".
Non capisco, mi volto e lo vedo allontanarsi, ora riconosco il mezzo,  era mio fratello che vedendomi così assorto . . . inutile dire cosa avrà sicuramente pensato.
Pali all'orizzonte non ce ne sono e sicuramente li avrei evitati,  mentre cammino mi pare di essere concentrato solo sulla lettura ma so che non è così o non si spiegherebbe quello che mi accadde un po' di tempo fa.
Camminavo sul ciglio della strada e improvvisamente ho avuto come la sensazione di avere "percepito" qualcosa dal fosso che stavo costeggiando. Richiudo il mio libro e faccio qualche passo indietro, 50 euro quasi mi guardano, un bel premio per la mia passeggiata.

Ora sto camminando in una zona che si avvicina alla ferrovia, i campi perfetti e curati lasciano lo spazio a un piccolissimo boschetto. Tic Tic Tic, impressionante questo strano ticchettio. Suoni un po' più marcati, a volte un po' più soffocati ma è un continuo ticchettio.
Alzo gli occhi dal libro e trovo bellissimo questo squarcio di pianura padana e poetico questo rumore che mi ricorda lo scorrere del tempo,  rumore creato dalle foglie che stanno cadendo una ad una dagli alberi. Tic Tic, siamo in autunno, mi piace



domenica 4 novembre 2012

Tre ragazzi immaginari

(Imola 19/06/2004)

31 ottobre una serata con i miei compagni di avventura Stefano e Stefano.
Usciamo raramente in questa formazione; io li conosco entrambi da molto tempo (uno è il mio compagno di banco dalla seconda elementare alla maturità, l’altro è il mio compagno di avventure e di viaggi nell’est Europa) ma tra di loro è una conoscenza più recente,  nata mio tramite e per una comune passione.
I concerti e la musica dei Cure, musica che fa la differenza e che ci rende diversi
Questa volta non è stata la band capitanata da Robert Smith a darci occasione di rivederci ma gli Easy Cure una cover band più uguale (se possibile)  dei Cure stessi.
Ed eccoci in auto con destinazione Taneto di Gattatico (dove cavolo è?!?!? … meno male che abbiamo un navigatore) con lo spirito di sempre, il tempo non pare sia passato.
Stessi commenti, stesso entusiasmo anche se il colore dei capelli è decisamente cambiato.
Siamo i “tre ragazzi immaginari” della canzone, una amicizia che si perpetra nel tempo che ci trova ancora una volta insieme con una identica destinazione.

Si ride e si scherza, i tergicristalli cercano di liberare il parabrezza dal muro d’acqua che il cielo lascia cadere mentre tentiamo di capire quando è stata l’ultima volta che ci siamo incontrati.
“Dai eravamo al Corallo . . . ma quando sarà stato . . ?. “
Scoprirò più tardi che era l’ormai lontano 28/10/2005 sette anni prima. Incredibile, avrei detto un paio d’anni non di più.
Questa cosa del tempo che corre così veloce mi turba . . .  mentre i ricordi si susseguono;  “dai Robby ti ricordi quando siamo andati a vederli a Milano? E a Firenze? Noi che ci andiamo in macchina perché l’unico treno comodo si fermava solo alla stazione Campo Marte e chissà quanto è lontano dal luogo del concerto” (era a 200 mt. N.D.R.)? “E quel brutto concerto di Forlì e all’Heineken di Imola?”
Tra un ricordo e l’altro,  litigando bonariamente con il mio navigatore che ci manda a zonzo nelle campagne raggiungiamo la destinazione.

Una serata con ritorno a notte fonda, sto bene con loro, sono parte della mia vita . . .le orecchie fischiano ancora un po’ dopo lo stress del concerto, come ragazzini facciamo cose sciocche e alle volte ridicole.
E’ il mio turno,  faccio fermare la macchina, ci mettiamo davanti ai fari e scattiamo con un telefonino una foto, di bassa qualità, non perfettamente a fuoco ma siamo noi, i tre ragazzi immaginari.

Risaliamo in macchina mentre la pioggia rallenta, mi adagio nel sedile posteriore e mi risuonano le parole della canzone
Close my eyes
And hold so tightly
Scared of what the morning brings
Waiting for tomorrow
Never comes
Deep inside
The empty feeling
All the night time leaves me
Three imaginary boys

Chiudo gli occhi
E li serro ben stretti
Con la paura di ciò che il mattino porta
Aspettando un domani
Che non arriva mai
Nel profondo di me
Il senso di vuoto
Tutto quel che mi lascia la notte
Tre ragazzi immaginari
(Taneto di Gattatico 31/10/2012)

domenica 28 ottobre 2012

una mamma

L’avevo già incontrata altre volte
Anzi LE avevo incontrate altre volte; non sono molto religioso, ho una fede un po’ tiepida ma mi piace partecipare alla messa. Forse è solo una antica abitudine (io la vedo come una buona abitudine da coltivare) ma se lo è la trovo una abitudine utile, forse non capisco bene perché ma qualcosa mi fa sentire meglio e forse la mia fede al lumicino riprende vigore anche al solo assecondare una abitudine, un rito.

Questa sera, per la funzione domenicale,  come qualche altra volta mi era capitata,  vedo entrare in chiesa una ragazza con la figlia;  le ricordo benissimo. La mamma potrebbe essere sulla trentina, forse qualche anno di più, la bambina una decina d’anni, non bella . . . bellissima.
So che  la bambina ha dei problemi gravi,  anche le altre volte aveva dato vita a scene strazianti.
La piccola che si divincola, urla, protesta, mentre la madre la trattiene, la tranquillizza cercando al contempo di pregare. Una lotta tutto il tempo, fisica, tra spintoni e abbracci che anche questa volta si ripete. Tutti comprendono e molto discreti cercano di non fare pesare la situazione, il disturbo o creare imbarazzi. Recuperano le scarpe che lei si toglie e getta diverse volte lontano, grida si dimena, qualcuno le allunga un oggetto, una microscopica  bambolina . . .  lei si calma qualche minuto.
Riprende;  la mamma la tiene stretta a sé sul pavimento dove si era dimenata e rotolata poco prima, prega concentrata nonostante la bimba si agiti , vuole sfuggirle, protesta, chissà che fatica nel quotidiano;  dentro me spero continui ad avere la forza, la determinazione e la dignità che ha ora,  sento per questa mamma una ammirazione immensa, una prova vivente di fede e coraggio, un esempio.
Termina la funzione religiosa, è impossibile uscendo non avvicinarsi a questa giovane mamma che, prima che possa raggiungerla mi stupisce:  chiede accorata a chi ha vicino di pregare per i bambini malati  perché “di questo e solo di questo c’è bisogno”.
Sembra una richiesta di aiuto e allo stesso tempo è un imperativo. FATELO!! E’IMPORTANTE.
Accarezzo la testa della bambina ora tranquilla  e la guardo nei bellissimi occhi mentre intorno le persone mostrano che hanno capito, lo faranno!
Una ragazza l’abbraccia scoppiando a piangere e la mamma ringrazia,  con la dignità di una regina (io la vedo così e per il nobile gesto compiuto) prende per mano la sua bambina  e si allontana
El tiempo de Dios es perfecto  
mi viene in mente questa frase, sono contento di avere superato la pigrizia e di essere uscito con il brutto tempo per ritrovarmi qui, ho ricevuto pure un compito e ho nel cuore quella sfortunata bambina e la sua fantastica mamma.


mercoledì 29 agosto 2012

Caffè e Covrig

Oggi
Sto mettendo un po’  di ordine nei miei appunti di viaggio, niente di che, qualche frase segnata, qualche oggetto minuscolo,  qualche foto. Sono ovviamente già rientrato e ho un sacchetto da portare ad un amico. Visto lo stile sconclusionato dei miei post, ho deciso,  li mescolerò anche temporalmente, presente e passato. Tra pochi minuti mi incontro con Stefano che per diversi motivi  ha molto a che fare con questa mia ultima meta.

Di solito si parla delle amicizie come di  qualcosa che nasce da giovani, magari compagni di giochi, di scuola, frequentatori di medesime compagnie adolescenziali. In età adulta si crede, a torto,  di avere meno opportunità nelle relazioni,  ed ecco che al posto degli amici si frequentano “colleghi” (che ora ci sono ora no),  che entrano nella nostra vita in modo formale per uscirne velocemente non appena le occasioni di incontro diminuiscono.

Nel mio caso, mi ritengo fortunato, ho un buon numero di amici acquisiti in età adulta e hanno tutti una caratteristica. Sono fantastici.

Stefano,  per esempio, che  sta per ricevere il sacchetto di covrig che ho comprato per lui in Romania l’ho conosciuto sul lavoro anche se non siamo mai stati colleghi. Avevo preso il suo posto in ufficio e qualche volta passava per alcuni lavori che vi aveva mantenuto.
Era ed è decisamente più bravo di me professionalmente, per questo l’ho inizialmente conservato come contatto prezioso; mio coetaneo, molto intelligente ma per niente diplomatico, pungente a volte al limite dell’antipatico (per chi non lo conosce),  estremamente “ruvido”, interessante e  mai banale. Alle volte spietato nelle sue considerazioni, credo sia per questo che alcuni non riescono ad andarci d’accordo, mentre altre volte mostra un cuore tenero e una generosità  quasi esagerata e commovente.
Le nostre strade si sono incrociate diverse volte, per il lavoro, lo scoprire una passione comune per i Cure,  e quindi “via insieme ai concerti” ma, poi, anche lughi tempi senza vederci, ci si perdeva di vista per lungo tempo. Ed ecco un anno in cui nacque una nuova occasione per ritrovarci, questa volta quattro chiacchiere in più, una situazione sentimentale “sbagliata” vissuta da entrambi nello stesso momento,  nello stesso modo,  con gli stessi dubbi e ansie, forse anche la voglia di capire se si poteva essere veramente amici e quindi una proposta che nasce spontanea.

“Qui ci perdiamo di vista continuamente, perché non fare qualcosa insieme? Che ne dici? La settimana di ferragosto sono in ferie, qualche idea? Che so,  qualche giorno di vacanza insieme?”

Devo essere sincero, questo dialogo (più o meno) è esistito veramente ma non ricordo di chi fu la proposta, ricordo che nella scelta del “dove andiamo?” fui invece io determinante. Ero in piena follia da messenger (yahoo, Msn, Skype) , i miei contatti su internet si moltiplicavano di giorno in giorno ed erano tutti oltre confine;  quindi la proposta fu quasi scontata: “andiamo a trovare uno dei miei nuovi amici?”
Si trattava di scegliere dove, i miei contatti spaziavano per mezzo globo, era il momento in cui conoscevo Elsie e Rosangela ma il Venezuela (Stefano c’era già stato per una lunga vacanza) era troppo lontano e troppo costoso per una sola settimana di vacanza e allora???
Allora, conoscevo da un po’ di tempo una simpatica ragazza con un ottimo inglese, Raluca; perché non provare ad andare a conoscerla di persona?  Dove? Romania!
Contatto Raluca per sentire se l’idea le piaceva, se non avremmo disturbato, se poteva fornirci un minimo di logistica e aiuto per visitare il suo paese, oltre che,  ovviamente, se  avesse piacere di conoscerci . Lei molto ospitale e gentile ci invita.
Eccoci pronti non molto tempo dopo, io con il mio passaporto nuovo arrivato giusto in tempo (allora la Romania non era nella CEE),  un po’ agitato per il mio primo volo oltre i confini nazionali con destinazione Bucarest Otopeni (l’aeroporto principale della città). Nemmeno bene avrei saputo  indicare su una cartina la mia meta ma parto fiducioso con Stefano.
Nel viaggio spiego bene dell’amica che ha detto che ci verrà a prendere e ci aiuterà nel nostro girovagare da turisti. Devo ammetterlo,  man mano che lo racconto, avvicinandoci alla meta mi rendo conto che quanto dico è piuttosto surreale, solo noi due italiani “un po’ tonti “ potevano non notare diverse stonature.
La mia amica abita all’estremo est della Romania, ai confini con la Moldova,  in una città che si chiama Galați,  250 km. da Bucarest. Quando le ho chiesto come dovevamo fare per raggiungerla, per trovare un treno o un mezzo di trasporto qualsiasi, lei,   intuendo le possibili difficoltà in cui avremmo potuto trovarci per via della lingua (e probabilmente già immaginando dai nostri discorsi non fossimo particolarmente svegli) preoccupata,  si offre di venire ad accoglierci all’aeroporto. Contenti  la troveremo all’atterraggio.
Siamo in fila per il visto e realizziamo . . .  ritirati i bagagli saremo fuori . . . ma che possibilità ci sono che Raluca sia là ad aspettarci veramente? Una ragazza di vent’anni si sarebbe dovuta fare 250 km. per venire ad aiutare 2 “polli” italiani con il doppio dei suoi anni a fare i turisti portandoli a casa sua? Mhhhh … capiamo quanto siamo idioti e parecchio illusi, “va beh dai, se non c’è (e non potremmo nemmeno fargliene una colpa)  ci organizziamo e ci cerchiamo un albergo . . . tempo ne abbiamo e qualcosa ci inventeremo per questa settimana di vacanza”
Oltrepassiamo la dogana ed usciamo  . . . una folla  come sempre in queste occasioni dietro le porte automatiche. Mi guardo intorno . . . no, nessuno per noi.  Riguardo meglio mentre anche Stefano cerca di capire  se la mia amica possa essere lì basandosi su una descrizione molto approssimativa che ho fatto di lei ma  . . .
“Roberto welcome” una mano mi tocca la spalla;  Raluca non aveva mancato l’appuntamento! Ci è venuta a prendere in taxi ed è pronta per il rientro a casa.  Tanta ospitalità e gentilezza non ce la saremmo mai aspettata.
Inizia così la nostra prima volta in Romania. Trascorreremo una settimana conoscendo un mondo che ci affascinerà, persone che sono entrate nel nostro cuore e che visiteremo e rivisiteremo altre volte.
La famiglia di Raluca è fantastica e quasi ci adottano, papà Ion e mamma Marina ci accolgono tra loro.
Per alcuni anni rinsalderemo,  io e Stefano,  la nostra amicizia con periodici viaggi in est Europa;  Stefano che non parlando inglese nel primo viaggio soffre un po’ per le difficoltà di comunicazione si trasforma rapidamente in rumeno. Pare che in quegli anni avesse delle ferie arretrate e ogni occasione diventa buona per andare a visitare la nostra nuova famiglia, sparisce una settimana e mi chiama da là. Viaggia con Ion e Marina per il paese, a volte lasciando a casa Raluca neanche fosse lui il figlio,   in una full immersion di rumeno che gli consente anche di apprendere la lingua e i costumi. Nei viaggi che successivamente faremo insieme lo vedo sempre più a suo agio,  tanto che non riesce più, quando siamo là, a fare una colazione se non con un caffè e un covrig (colazione corrispondente al nostro cappuccio e cornetto) il tipico pane usato tradizionalmente al mattino che ora gli porterò.
Stefano mi aspetta . . .  vado . . . Pa (ciao).

8 anni fa




domenica 26 agosto 2012

Lo zainetto

Sono in attesa del  mio volo, una breve vacanza, nuovamente in un aeroporto.

Siedo tranquillo davanti al mio zaino dalle dimensioni ridotte  che mi accompagna da anni nelle mie piccole/grandi avventure di viaggio.  E’ decisamente piccolo, ma comodo.  E’ stato sulle mie spalle per le settimane in bicicletta verso Santiago de Compostela, o in tante altre scorribande ciclistiche, mi ha accompagnato in Marocco, Romania, Sud America.

Lo osservo. Questo piccolo involucro di tela contiene tutto ciò che mi sarà necessario per la prossima settimana. Tutta la mia vita sta lì, in circa 4 chilogrammi di bagaglio a mano,  in un volume ridottissimo. Diversamente dal solito  niente sapone per bucato, che potrebbe ulteriormente ridurre la quantità di “cose” contenute,  questa volta  ho tutto,  il necessario e anche il superfluo,  ed è veramente poco.

Quante inutili preoccupazioni . . . quante sciocche paure per il futuro; il mio necessario è tutto lì, come faccio ad avere paure? Tutto ciò che mi circonda quotidianamente, costoso, voluminoso , “impegnativo”, è rimasto a casa a riprova che posso farne a meno;  mi accorgo di non sentirne assolutamente la mancanza.

Sì è vero, nella mia “fondina” c'è una carta di credito ma già ora so che ciò che spenderò nei prossimi giorni sarà veramente ridicolo, probabilmente basteranno le poche banconote nel portafogli;  non ho bisogno di molto, mi adatto facilmente, in fondo (e neanche tanto in fondo) ho poche pretese circa comodità o altro, nessuna necessità di apparire. E allora? Perché tanti quotidiani affanni? Perché tanta angoscia per il lavoro, la disponibilità di fondi, il conto corrente? La mia necessità quotidianità (anzi settimanale) sta in quei 4 chilogrammi o poco più, un mucchietto di cose che potrei anche facilmente ulteriormente ridurre. Di cosa dovrei ancora avere bisogno e a cui sto rinunciando? Cosa mi manca?

Sono  anche io,  a mio modo,  vittima del "pensiero comune" che non accetta insicurezze,  che pianifica e vorrebbe tutto pianificato in un continuo crescendo di accumuli materiali che diano conferma di un miglioramento, di una fantomatica qualità di vita, mentre in realtà creiamo e ampliamo solo una collezione di oggetti inutili.

Ricordo,  proprio nei pressi di Santiago de Compostela,  l’incontro con una ragazza spagnola che viaggiava sola e che aveva passato le vacanze estive degli ultimi tre anni per fare,  e ripetere,  da diverse vie, “El camino”. Mi raccontò della sua esperienza, delle difficoltà trovate ma rimarcò anche che:
 << Nel “Camino” come nella vita l’importante è “viaggiare” leggeri, con la “mochila” (lo zaino) più vuoto possibile>>
Già,  il mio zainetto semivuoto è una bella metafora e dimostrazione di quanto sia vero; me ne sto seduto ad osservarlo, un sorriso stampato sul viso, stanno annunciando il mio volo . . .  e dalla mia fede tiepida risuona una citazione

“per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita forse non vale più del cibo e il corpo più del vestito?”
 “Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena.”

Zainetto in spalla salgo sul mio aereo, che bella sensazione.






venerdì 18 maggio 2012

E poi


E poi ti trovi a scorrere curioso qualche video su youtube e i gusti, quello che sei,  alla fine salta fuori.

Niente è per caso, quello che si è visto, ascoltato, vissuto alla fine determina anche piccole scelte che fanno la differenza.
Sono sempre più convinto che, alla fine, siamo o forse siamo diventati anche ciò che abbiamo ascoltato . E mi perdo anche in queste piccole cose


I don’t know about my dreams.                               Non so niente dei miei sogni
I don’t know about my dreamin anymore.          Non so niente del mio sognare oramai
All that I know is                                                          Quello che so è che
I’m fallin, fallin, fallin, fallin.                                  sto cadendo, cadendo, cadendo, cadendo
Might as well fall in.                                                   Tanto vale sprofondare

I don’t know about my love.                                  Non ne so nulla del mio amore
I don’t know about my lovin anymore.              Non ne so nulla del mio amare oramai
All that I know is                                                          Tutto ciò che so è che
I’m fallin, fallin, fallin, fallin.                                  Sto cadendo, cadendo, cadendo, cadendo
Might as well fall in.                                                   Tanto vale sprofondare

Come un'onda le suggestioni mi colpiscono, sono io




sabato 18 febbraio 2012

La ricchezza della felicità


Ho intenzione di citare in giudizio il magazine "Fortune", perché sono stato  vittima di un inspiegabile omissione. Il giornale ha pubblicato una lista degli uomini più ricchi del pianeta e, in questo elenco,  non compaio.
Sono apparsi in questa classifica  persino il sultano del Brunei, ci sono anche gli eredi di Sam Walton e Takichiro Mori. Ci sono anche persone come la regina Elisabetta d'Inghilterra, Stavros Niarkos e il messicano Carlos Slim e Emilio Azcarraga.
Ma io non vengo menzionato.
Eppure  io sono un uomo ricco, immensamente ricco.

E se non lo si capisce mi spiego meglio: 
Ho  una  vita che ho ricevuto non so perché e una salute che conservo non so come. Ho una famiglia, una moglie che adoro che mi ha dato la sua vita dandomi il meglio della mia, figli meravigliosi dai quali non ho ricevuto altro se non la felicità. Ho fratelli che sono come i miei amici e amici che sono come i miei fratelli. Ho persone che mi amano sinceramente, nonostante i miei difetti e,  onestamente,  mi piacciono nonostante le mie carenze. Ho quattro lettori ai quali ogni giorno dovrei un ringraziamento perché hanno letto “bene” quello che io scrivo male. Ho un appartamento e una bicicletta (mia moglie direbbe che ho solo una bicicletta in un appartamento).  Possiedo una parte di di mondo ogni volta che vado in montagna con i miei amici con le nostre biciclette ad ammirare la grande opera di Dio. Ho un cane che non mi lascia finire di mangiare perchè vuole lo accompagni nella sua passeggiata quotidiana e che mi riceve, ogni giorno,  quando torno a casa come se fossi il padrone  del cielo e della terra. Ho gli occhi che vedono e le orecchie che ascoltano, piedi che camminano e mani che accarezzano; cervello che pensa a cose che ad altri erano già venute in mente, ma che a me non era successo mai.
Possiedo l'eredità comune a tutti gli uomini; felicità da godere e dolore per sentire fratello chi è nella sofferenza.
E  ho fede in Dio che ha amore infinito per me.
Può esserci maggiore ricchezza della mia?
Perché, allora,  il "Fortune" non mi ha messo  nella lista degli uomini più ricchi del pianeta?
E tu come ti consideri? Ricco o povero?

C’E’ GENTE POVERA, MA COSI’ POVERA,  CHE L’UNICA COSA CHE POSSIEDE E’ . . .  IL DENARO
Non l'ho scritta io (non ho né moglie né figli e poi non scrivo così bene ;-P) ma un giornalista messicano certo Armando Fuentes Aguirre, anzi no,  neppure è suo questo testo.
Infatti in questa versione ora è: idea di Armando, adattamento di Johnsy  mio amico di Bogotà  (alcuni riferimenti, ad esempio  alla bicicletta,  sono suoi)  traduzione e rimodulazione all’italiano mia.

Ma in fondo basta ritrovarcisi, in questo scritto,  per farlo proprio, per uscire dal coro, per smetterla con l’invidia, l’ipocrisia e l’egoismo. Basta poco, essere contenti per quello che si ha, che tanto, anche possedere il doppio (di beni materiali)  non incrementerebbe di una virgola la felicità che possiamo raggiungere e probabilmente vivendo anche con la metà non cambierebbe ugualmente.
Non è nemmeno tanto difficile, in fondo possiamo abitare solo una casa per volta, mangiare solo una certa quantità di cibo, vestire solo una certa quantità di abiti (nessuno può sperare di mangiare venti pizze in una sera né indossare più di un abito per volta) che bello il mondo se rendendocene conto cominciassimo a dare più valore alle cose importanti e soprattutto spegnessimo per un po' il coro di lamenti che sempre ci accompagnano e che spesso sono dimostrazione della nostra piccolezza e della nostra invidia. Quella continua polemica che ci avvelena che ci circonda di nemici.
Torniamo alle piccole cose, ai piccoli piaceri. La ricchezza non è sinonimo di felicità o meglio . . . quella economica sicuramente non lo è. Riscopriamo altro,  ricominciamo a curare i rapporti interpersonali il piacere dell'amicizia, la solidarietà; diamo valore a ciò che è importante e abbandoniamo astio e contrapposizioni inutili soprattutto se legate al denaro.



giovedì 16 febbraio 2012

Felicità, forse parte prima


E’ un po’ che volevo filosofare sull’argomento, forse perché ultimamente mi chiedo sempre più spesso cos’è.
Che fare per essere felice? In che consiste? Dove cercarla?Ma più esattamente,  cos’è questa chimera?
Pensieri sull’argomento  me ne sono passati per la mente  un bel po’ ma la voglia di fissare per iscritto quanto elaborato così confusamente proprio non c’è ed ecco il motivo per cui questo potrebbe essere la prima parte di qualcosa che nel tempo verrà approfondito. Si vedrà.
Prendo spunto per cominciare dal “quotidiano”, alcune letture, alcune elucubrazioni ed un post che ho letto recentemente sul mio muro in facebook.



Il post è stato scritto apprendendo della morte di una famosa cantante  (devo essere sincero, molto brava, molto bella,  con una gran voce e tecnica ma in fatto di musica lontana dai miei gusti) dove una persona  che si riconoscerà si chiede :

“come sia possibile distruggersi in questo modo , annullarsi quando si ha tutto nella vita”

Credo che la domanda venga posta perchè si parte da alcuni presupposti che paiono insiti nella felicità.
Come poteva una così bella donna, di successo, ricca amata dai fans perdersi  fino ad autodistruggersi?
Ecco una prima definizione che non si sa bene perché diamo alla felicità . . . ricchezza, bellezza e successo.
Quante volte sentiamo dire “come cambierebbe la mia vita (e chiaramente in meglio con infinita più felicità) se vincessi al totocalcio, all’enalotto,  ereditassi una fortuna dallo zio d’America” .
Diciamoci la verità è un pensiero comune e questa identificazione ricchezza (/successo) = felicità spesso ci rovina la vita e probabilmente ci rende pure infelici.
Il denaro, la ricchezza,  sono ottimi mezzi per migliorare la propria condizione, per tentare di raggiungere la felicità ma non sono lo scopo,  non sono la felicità. Possono aiutare togliendo un po’ della pressione del quotidiano, fornire maggiore tempo (che poi va riempito), creare maggiore tranquillità ma niente di più. Questo errore di prospettiva peggiora il raggiungimento del nostro scopo,  il denaro in sé non ha un valore se non quello di essere mezzo che non genera di per sé un benessere emotivo.
Ecco, il benessere emotivo,  quello sì che genera felicità;  fattori come i rapporti interpersonali,  i valori, l’etica,  una buona considerazione di sé possono veramente cambiare il nostro stato.
La mia passione per il Sudamerica,  anche se non tutto in quei luoghi è rose e viole, mi ha mostrato un popolo, quello Colombiano, che secondo non so quale statistica risulterebbe come il secondo più felice al mondo (e credo di poterlo confermare) anche se le cose economicamente, là, vanno tutt’ altro che bene e i problemi sono tanti.
Credo che alla fine questa equazione (ricchezza/successo=felicità/benessere) sia spesso fonte di infelicità di frustrazione; non guadagniamo mai abbastanza non possediamo mai abbastanza non siamo mai abbastanza considerati e questa continua ricerca di una finta felicità (non riconoscendo si tratta solo di un mezzo) finisce per essere una concausa della nostra infelicità e della nostra frustrazione.
La prova ne è la morte della celebre cantante;  “pareva” avesse tutto, ma probabilmente aveva bisogno di altro e quello che aveva non le ha impedito di sprecare tutto compiendo atti autodistruttivi.
Beh, una base per pensare c’è . . . alla prossima, mentre sento intorno a me che il problema è ben sentito se perfino da una cosa tanto frivola come Sanremo ascolto che . . . .

“La felicità non è impossibile.
La stupidità la rende facile,
un’ebbrezza effimera che può imbrogliare,
fino a non capire che può fare male la sua vanità.
Se sai bene ciò che fai la felicità sarà sempre raggiungibile.
Se non sai quello che vuoi l’infelicità sarà spesso incomprensibile.
Se davvero sai chi sei la felicità… sarà dentro di te.”
 I primi due minuti e quarantacinque sono la solita noia della Kermesse, ma poi arrivano i Marlene Kunz e mi fanno pensare . . . . .



mercoledì 15 febbraio 2012

Il braccialetto


No non sono il tipo per certe piccole vanità, credo che pure stoni indossato da me, ma ho un braccialettino intrecciato a un polso.

E’ quasi un anno che è lì, veramente poco elegante,  per niente bello e ora parecchio logoro e sformato testimonianza del tempo passato,  eppure,  nonostante tutto,  lo guardo con simpatia.
E’ il ricordo di un fatto veramente marginale, un incontro casuale, ma che continua a farmi sorridere e mi ricorda momenti e luoghi oramai lontani che tengo sempre con me.

Lo scopo del braccialetto era di proteggermi dalle insidie di qualche “approfittatrice” che avrebbe potuto insidiarmi;  pare abbia funzionato a dovere, pericolo scampato,  anzi alle volte mi chiedo se non stia funzionando troppo come certi “salvavita” esageratamente sensibili che fanno scattare la valvola impropriamente.

Credo che a malincuore presto lo toglierò, in fondo sono tutt’altro che superstizioso e paure non ne ho . . . o forse che sia troppo sensibile sì?

D'accordo, non ci credo ma . . . . hai visto mai?









domenica 12 febbraio 2012

In viaggio


Non sono un gran viaggiatore soprattutto se consideriamo i miei spostamenti fatti nella vita anche se, spesso, senza muovermi da casa, con altri mezzi,  ho viaggiato in lungo e in largo.
Se osserviamo  invece gli ultimi anni,  forse,  la  definizione di  “viaggiatore”  calza maggiormente,  visti i timbri sul mio passaporto in un lasso  temporale  tanto breve.
Qualcuno potrebbe pensare che tramite un libro, davanti a un quadro, a una stampa o a una scultura,  interessandomi alle persone si possano fare tante cose ma non viaggiare,  non credo sia così.

Incontro persone che si sono spostate tantissimo nella vita, hanno raggiunto mete esotiche, visitato paesi lontani ma, parlando con loro, oltre a souvenir e altra paccottiglia non mi riesce di scoprire niente.
Nel periodo del turismo di massa ci si sposta solo per cambiare lo sfondo alla propria vita non per cercare un cambiamento, un confronto. Si aggiungono mari e montagne, isole e boschi ma tutto resta uguale. Un calare fondali a una realtà che è sempre la stessa che non viene arricchita, forse, perché non la si vuole diversa,  la si cerca solo più patinata.
Quello che cambia è la scenografia, o meglio,  il packaging della nostra esistenza,  non la sostanza,  e quindi ci si limita ad aggiungere fiocchetti e lustrini alla propria vita essenzialmente con lo scopo di mostrarla agli altri come migliore.

Non si accetta di viaggiare scomodi anche quando lo scopo è la meta e non lo spostamento; non si prende nemmeno in considerazione una vacanza con standard economici simili alla propria vita quotidiana ma tutto deve essere ”al massimo”  neanche fossimo tutte rock star o V.I.P.
Ci creiamo per alcuni giorni una vita di plastica e artificiale, dove il lato economico, il lusso ostentato diventano e sostituiscono lo scopo. Tutto l’anno sogniamo una giornata tranquilla dove magari restare a letto (nel nostro) a poltrire ed ecco che in viaggio necessitiamo di letti con baldacchini, stanze lussuose dove però non possiamo restare per non sprecare tempo,  dove tutto è a 5 stelle con piscine e viste mozzafiato.
Ma lo facciamo perché è quanto cerchiamo o perché dobbiamo mostrarlo ad altri?
Credo, purtroppo,  sia la seconda opzione, pare si sia perso il gusto della vacanza come relax,  incontro o arricchimento personale  ma è diventata solo frenesia e ostentazione.
Due esempi per tutti che ho avuto modo di sentire; parlando con un giramondo e curioso di sapere dove sarebbe stato nelle prossime vacanze mi risponde tutto triste: “quest’anno niente vacanze . . . vado solo un paio di settimane in Sardegna” e questo la dice lunga di quanto siamo diventati snob, neanche andasse in campagna dalla nonna!
E un’altra . . . un racconto di una persona che cercando di darsi un tono, probabilmente di stupirmi, mi dice  di essere stata in Spagna in moto; domando cosa avesse visto cosa avesse vissuto e la risposta è stato un elencare di geste eroiche come migliaia di km in autostrada al giorno senza mai scendere dalla moto . . .  “cosa hai visto? Boh ..”,  “com’era? Boh . . .”  l’importante era essere andati lontani, avere vissuto qualcosa di originale, la vacanza si misurava a Km,  il resto non contava. Ma che tristezza!

Ricordo un libro interessante che mi capitò di leggere diversi anni fa “viaggio attorno alla mia camera”  di Xavier De Maistre un militare in confino nella sua stanza che compie un viaggio all’interno di essa negli oggetti e nei ricordi che questi rappresentano; ecco,  questo mi sembra veramente viaggiare; scoprire con mente aperta dettagli,  o confrontarsi con gli oggetti e le culture senza necessità di giudicarli rispetto al proprio tenore di vita, immergersi in un mondo diverso, vivere una vita differente per potere meglio comprendere la propria senza farsi influenzare dal contorno creato ad uso e consumo dei turisti.

Sto viaggiando nella mia camera anche io, la piccola statuetta riproduzione  della “mujer gorda” sulla mia scrivania, i libri, i contatti che mantengo tramite il mio pc con amici sparsi in tanti posti del mondo con diverse lingue, diverse culture fanno nascere il desiderio  impellente e la voglia di continuare il mio viaggio anche fisicamente.

Da quando sono tornato l’ultima volta non ho messo via la valigia (tra i mugugni dei miei famigliari) nè  lo zainetto che ho sempre con me,  mi piace vederli lì, nella mia stanza,  pronti per la prossima avventura. Per ora l’esplorazione del prossimo viaggio comincia da qui, tra le cose sulla mia scrivania, dalle mie letture, dai miei contatti ma spero presto di caricare lo zaino sulle spalle e aggiungere anche lo spazio all’esperienza del viaggio.


domenica 15 gennaio 2012

Una fredda giornata


Ore 7.00, domenica mattina, suona la sveglia.
Accidenti a me! Ma chi ne ha voglia di alzarsi così presto e con questo freddo.
Mi rigiro un paio di volte nel letto caldo e :
“No bisogna proprio che mi alzi, non so perché ma è necessario”
Scendo dal letto e già immagino, anche se ancora non ho messo il naso fuori,  il freddo che può esserci.
Mi lavo,  comincio molto lentamente a vestirmi e maledico la passione per la bici.
Ma sarà poi vera passione? Non l’ho ancora capita, in queste fredde giornate d’inverno mi dedicherei molto più volentieri al gioco delle bocce, agli scacchi a . . .  insomma a qualunque cosa che non mi obblighi a stare all’aperto con temperature da pinguini e mi lasci nel meritato riposo della domenica, nel mio letto caldo almeno un altro po’ .
Niente da fare, come sempre accade, ieri,  un po’  per garantire ad alcuni amici il giretto settimanale e un po’ perché mi fa bene e quando rientro sono soddisfatto (c’è qualcosa di masochistico in questo) ho garantito la mia presenza e ora bisogna che vada … mi aspettano.

Sms di Ivan,  mentre faccio colazione, con cui avrei appuntamento davanti a casa mia per arrivare insieme al punto di ritrovo “Robby ho un gran mal di testa, se mi passa vengo in macchina alle 9 direttamente al punto di ritrovo, altrimenti salto. Ciao”

Uff . . . partiamo male, i primi 17 km. me li dovrò fare da solo. Scendo in garage e finisco di vestirmi, avvio il programma sul telefonino che traccerà l’uscita di oggi e si parte.
Cavoli che freddo!! Nebbia anche se non fittissima che attenua la già poca luce delle otto di mattina, sicuramente sotto zero e nessuno in giro.
Devo percorrere solo 4/5 km su strade secondarie dove potrei incontrare auto e vorrei togliermi da questo tratto velocemente per pedalare più tranquillo senza nessun pericolo.
Sono tutto “bardato” e imbacuccato la cuffia, provvidenziale,  mi ripara dal freddo ma non mi permette di sentire bene eventuali auto che sopraggiungano dalle mie spalle e la cosa non mi fa stare tranquillo, poche le parti del corpo scoperte, giusto la faccia, ghiacciata.

Finalmente ecco la strada che si infila tra alcune case dietro la quale c’è l’argine del fiume e finalmente sarò libero di girare su una strada completamente per me e priva di traffico.  Controllo di non avere nessuno dietro comincio la svolta e SBRAAMMM sono a terra.

Stupito,  a terra, con un anca dolorante ringrazio la cuffia che mi ha coperto l’orecchio sinistro, visto che sono scivolato sull’asfalto con la faccia,  ma allo stesso tempo la maledico perché per il suo spessore è stato sufficiente a tenere il casco leggermente alzato e ho tirato una discreta zuccata. Non capisco che è successo sono confuso (probabilmente la testata) penso a un pneumatico a terra,  non capisco, provo a rialzarmi e annaspo, non riesco a rimettermi in piedi ed ecco comprendo che è successo;  sono su una lastra di ghiaccio larga quanto l’imbocco della strada.
Ho voglia di tornare a casa, sono dolorante e incrocio un paio di persone che si stanno chiedendo come mai pedalo quasi in surplace, non mi hanno visto cadere né rialzarmi ma penso abbiano intuito cosa mi è successo. Riparto ripensando alla possibilità di iscrivermi ad una bocciofila. Pedalando il dolore all’anca diminuisce un po’, mi tranquillizzo e mi guardo intorno. E’ bello, freddissimo ma bello, nebbia, gelo e la campagna senza anima viva intorno, sono solo con i miei pensieri in un paesaggio surreale. Mi fermo e con il telefonino scatto qualche foto. Mi sento di nuovo meglio,   anche se scoprirò un bell’ematoma sanguinolento all’anca e un bernoccolo alla fine del giro, ricomincio a pedalare e porto a termine la giornata.

La settimana prossima dovrò andare ad un corso sia sabato che domenica e non avrò la possibilità di pedalare; controllo su endomondo . . . obiettivo mensile attività fisica abbondantemente superato (sono già a 272 km contro i 150 preventivati) , vedrò di usare in settimana un ingresso in piscina. Letture, perfettamente in media, ore di sonno incrementate . . . insomma sto seguendo il mio programma e questo mi regala una soddisfazione in più. E’ presto farsi prendere dall’entusiasmo, per ora, andiamo avanti

sabato 14 gennaio 2012

Letture



Sono sempre stato un lettore “ossessivo compulsivo”, disordinato,  non ho avuto la possibilità di infatuarmi della lettura seguendo il filo logico della cultura, della conoscenza ma sempre scoprendo e innamorandomi in modo casuale di cose nuove. 
Ho avuto periodi legati ad un autore, altri a un genere letterario altri ancora ho seguito semplicemente l’indicazione del gusto di altri, la curiosità ha poi fatto il resto. Una parola sentita alla radio, un riferimento nel discorso di qualcuno, una nota a margine di un libro hanno improvvisamente spostato le mie letture in altre direzioni.
Un leggere così caotico mi ha ovviamente portato a  perdere tempo, affrontare letture dallo scarso valore ma alle volte mi ha portato anche a piccole e grandi scoperte.
Non voglio però parlare di letture e del come nascono certi interessi . . .
“Ahhhhhhhh mamma mia se sei prolisso, partito da lontanissimo!! … qual è il punto allora?!”
. . . Calma, calma, volevo partire dal mio pessimo metodo di lettura (dato dalla mia ignoranza essenzialmente) per parlare di un libro scoperto recentemente e forse con caratteristiche che potrebbero farcelo scartare a priori.
Ho sempre avuto una certa allergia per quanto riguarda i manuali, quei piccoli libretti che “promettono di migliorarti”, per non so quale legge o per quale capacità dell’autore sarebbero in grado di sollevarti da una tua ignoranza portandoti all’apice della conoscenza di un dato settore o attività in pochissimo tempo.
Che sia,  dall’arte del fare il pane, dipingere all’acquarello, aggiustare l’auto o altro, anche se le promesse di copertina farebbero dubitare un fornaio o un pittore o un meccanico circa le proprie capacità e la possibilità in poche ore di ritornare al top della propria professione,  proprio non mi era mai riuscito di avvicinarmi a questi libri se non  con uno scetticismo tale da rendere vana la lettura di qualunque consiglio, magari anche buono. 

Ora, in un mio personale “Trip” per certi temi con la mia solita guida (la casualità) ho trovato un libro che solo poco tempo fa avrei snobbato anche solo vedendo il titolo.
Avete presente quei libri che hanno quei titoli che suonano sgradevoli alla nostra sensibilità come il graffiare di un gessetto sulla lavagna?  I vari “tutto quello che avreste voluto sapere …” “100 modi per  …” “come fare per … “ e che terminano sempre con “…. Migliore …” “…. Vincere…”  “…successo…” etc. etc.?
Veramente insopportabili; sempre presenti nelle edicole delle stazioni, solitamente in edizioni talmente economiche che  non spiegano, ad esempio,  perché un libro che dovrebbe garantirti una vita migliore, più ricca, parta proprio da una edizione tanto scadente e sciatta.

La faccio finita e vado al dunque; per una serie di casualità mi sono cercato e comprato un libro di Dale Carnegie “Come trattare gli altri e farseli amici”.

Diciamoci la verità, dal titolo passare immediatamente al commento “libercolo per venditori di auto usate arrivisti” il passo sembra quasi naturale ma, e come spesso accade esiste sempre un ma, in questo caso mi sentirei di dare un giudizio molto diverso.
Anzitutto cosa mi ha incuriosito nel libro: Beh, devo partire dalla solita casualità che mi ha portato, dapprima,  a conoscere l’esistenza del testo,  poi  lo scoprire che è stato scritto negli anni trenta me lo ha reso immediatamente più simpatico (scritto, o almeno la prima elaborazione, tanto tempo fa non poteva contenere quelle sciocche paranoie da manager rampanti che va tanto di moda ora), poi il garbo un po’ ingenuo delle prime pagine e una rapida occhiata alla storia dell’autore.

Dale Carnegie (Maryville, 24 novembre 1888 – Forest Hills, 1 novembre 1955) è stato uno scrittore e insegnante statunitense. Fu promotore di parecchi corsi sullo sviluppo personale, vendita, leadership, corporate training, relazioni interpersonali e abilità di parlare in pubblico. (fonte wikipedia) .


Suona parecchio ridicolo che qualcuno nato nell’800  facesse corsi di “sviluppo personale”, “leadership” in un periodo in cui la globalizzazione era probabilmente fantascienza, nessuno parlava di PNL o di tecniche di marketing (figuriamoci poi di tutto ciò che ora va sotto il nome di “social”più qualche altra parola inglese d'effetto) ma nonostante questo le sue idee e le sue prime intuizioni e tecniche elaborate gli hanno permesso di costruire in tutto il mondo un impero (scuole a lui ispirate si trovano ovunque).

Ma leggendolo cosa si scopre? Quali sono le migliori mosse per ottenere credibilità e rispetto? Quali le tecniche che frugano nella mente e sottomettono ai nostri voleri le persone tanto da farcele amiche?

Ecco,  qui trovo stia la la parte interessante del libretto: nulla di incredibile, anzi molto spesso cose che riteniamo banali, dettate dal buon senso, ovvie,  ma (e dai con quei ma..) per non si sa bene quale motivo non seguiamo. Siamo veramente un po’ strani, giudichiamo banale quello che ci occorre per poi inventarci tecniche,  ricorrere a professionisti per avere soluzioni che sarebbero semplicissime. 
Un po’ come la signora sovrappeso che sa benissimo che dovrebbe mettersi a dieta e per risolvere i propri problemi, probabilmente dovrebbe rinunciare solo un po’ più spesso alla sua adorata torta al cioccolato, si rivolge al dietologo chiedendo aiuto e giudicandolo incapace se gli proponesse una cosa tanto semplice come rinunciare al dolcetto e idolatrandolo se gli proponesse una qualche stramba dieta alla moda.
Ebbene quello che fa il libro è proprio questo, dice cose “banali”, “ovvie” che in qualche modo ci garantirebbero una vita in mezzo a persone amichevoli e rispettose ma,  ditemi voi perché non le seguiamo. 
E’ una stupida riflessione che faccio da sempre, come sarebbe bello il mondo con un piccolissimo sforzo, gioendo delle piccole cose senza farci distrarre  da obiettivi e manie di grandezza.
Cosa occorre fare per vivere in un paradiso contornati da amici? Carnegie elenca una serie di principi, eccone solo alcuni che ho sottolineato nel libro (yauhhh ecco un proposito che mi ero posto ed ho cominciato a seguire!) giusto per suscitare qualche riflessione, poi, per il resto ne possiamo parlare un’altra volta
“la critica è inutile perché pone le persone sulla difensiva e le induce immediatamente a cercare una giustificazione. E’ pericolosa perché ferisce l’orgoglio della gente, la fa sentire impotente e suscita risentimento”
“Invece di condannare l’operato della gente, cercate piuttosto di capirla. Cercate di immaginare perché la gente fa quello che fa. E’ molto più utile e interessante che criticare, senza contare che genera simpatia, tolleranza e gentilezza. “chi tutto sa, tutto perdona”. Come dice il dottor Johnson:”Dio stesso, signor mio, non giudica nessun uomo prima che sia arrivata la fine dei suoi giorni.” Perché dovremmo essere più precipitosi noi?”
Sembra difficile? Illogico? Volete mettere il clima che si instaura nei rapporti comportandoci così?
“E’ l’individuo che non si interessa agli altri quello che ha più difficoltà nella vita e che procura più danno al prossimo . E sono questi gli individui che falliscono nei loro intenti!”
Quindi? Continuiamo con i nostri piccoli egoismi? O è il caso di dare una svolta?
“Siate prodighi di apprezzamenti onesti e sinceri.”
Che non significa essere adulatori, si tratta semplicemente di riconoscere onestamente che anche nelle idee e nei comportamenti altrui possiamo trovare insegnamenti e che dimostrare gratitudine anche per questo sicuramente non ci umilia
“Seguiamo quindi questa legge aurea e facciamo agli altri quello che vorremmo fosse fatto a noi. Come? Quando? Dove? La risposta è semplice: sempre e ovunque”
Ricorda niente? . . . niente di nuovo . . .

Un mondo migliore nonostante le “lamentazioni” continue a cui siamo sottoposti è possibile, facciamolo partire da noi.
Cerchiamo di essere gli artefici di un cambiamento.




sabato 7 gennaio 2012

Obiettivi e Buoni propositi



Eccomi di nuovo ad un inizio d’anno, come sempre, anche se sto cercando di non creare illusioni mi piacerebbe scrivere una lista di obiettivi, compilare una specie di bilancio preventivo (accidenti ai bilanci) con la speranza di non rimanere deluso  il prossimo 31/12.
“Sì  ma  . . . perché vuoi continuare a farti del male? Le possibilità di fallimento sono tanto alte, per esperienza sai che, forse per spirito di rivalsa, vorresti recuperare tutto subito e quindi le aspettative sono sinceramente esagerate; perché seguire una strada che molto probabilmente darà dispiaceri?”
Va beh, lo so, ma questa volta voglio provare con un diverso approccio.

Anzitutto voglio distinguere gli obiettivi dai buoni propositi e i desideri.

Gli obiettivi hanno caratteristiche chiare e il loro raggiungimento, quando è stato ben pianificato e quando non sopraggiungono cause esterne, possedendo la necessaria  determinazione,  sono,  non solo possibili o sperabili, ma realizzabili.
Infatti come mi è stato detto ad un corso,  la caratteristica degli obiettivi, al fine di potere ragionare in tal senso, dobbiamo definirla come:
  • Misurabile:  (quindi niente di vago, ma qualcosa che solo ad una certa definizione con tanto di unità di misura consenta di dire “raggiunto”, “centrato l’obiettivo”. Per ora lascio da parte tutto ciò che entra nella sfera dei desideri indefiniti o indefinibili tipo “lo stare meglio” o “avere più …”)
  • Temporizzata: (basta con qualcosa di fumoso nello spazio temporale, deve essere raggiunto entro una data di scadenza altrimenti è possibile che la pigrizia, le abitudini o altro spingano inevitabilmente in avanti, forse addirittura in eterno,  la realizzazione)
  • Raggiungibile o meglio ancora “quasi raggiungibile”: (“raggiungibile” perché è necessario stare con i piedi per terra, perché inutile travestire i sogni in obiettivi quando sono oltre le nostre possibilità,  meglio sarebbe non avere però la certezza assoluta ma solo una buona possibilità quindi obiettivi “quasi raggiungibili”, così,   per sparare alto, cercando obiettivi sfidanti che creino una tensione vista la non banalità nel raggiungerli)
  • Piacevole: (il risultato deve essere per me, non voglio che sia dato da convenzioni, da richieste dall’esterno. Il risultato che andrò ad ottenere deve gratificare essenzialmente la mia persona e non soddisfare le necessità di altri)
  • Aggiungerei anche un verificabili:  nel loro progresso (per evitare cadute di tensione nella realizzazione)
Bene, a questo punto sarei pronto per definire la mia lista ma sono particolarmente preoccupato dal fallimento e quindi voglio concentrarmi su “sottobiettivi”, condizioni che mi permettano di migliorare la situazione, costituiscano una specie di rincorsa prima del balzo verso quanto cerco.
Formeranno un deciso miglioramento,  uno scalino che mi permetterà di avvicinarmi di più all’obiettivo e renderlo più facilmente raggiungibile .

Nel mio girovagare trovo sul blog di Cecilia "seme di salute" (sempre stimolante)  una sua lista che mi sembra un buon modo di partire.
Per una volta voglio cominciare da un me fisico, ho voglia di trattarmi bene, curarmi di più e prendo ispirazione dalla lista per farne una mia.
  1. Dormire / riposare di più: Ho decisamente un problema di “overworking” (lo definisco così il continuo rimuginare con il cervello sempre  "on") quindi al fine di evitare problemi proverò ad imporre al cervello e al corpo qualche vacanza. Intanto cominciando con il dormire di più e regalandomi le classiche 8 ore di sonno (andrebbero benissimo anche solo sette ma ponendomi limiti superiori e predisponendomi ad ottenerli sarà più facile avere risultati e il meritato riposo)
  2. Attività fisica: Riposare corpo e mente non sarà sufficiente se non avrò scaricato le tensioni e quindi mi pongo l’obbligo di incrementare l’attività fisica. Tutti i mesi dovrò almeno percorrere 150 km in mtb. Pare poco, su base annua non sono nemmeno 2.000 km e nel 2011 ne ho percorsi più di 2.500 ma per i prossimi sei mesi perderò un weekend al mese facendo un corso e, quindi,  ponendo questo minimo e sapendo che nei periodi estivi sono decisamente più attivo  credo incrementerò notevolmente su base annua e diverrà una abitudine tale da rendere più facile l’impegno. Voglio ricominciare a nuotare e per questo mi sono preso un abbonamento in piscina e vorrei ricominciare a frequentarla almeno un paio di volte al mese. Conto di riprendere anche con la bici da corsa e, visto che in questa disciplina i km sono più facili da accumulare conto su base annua di farne almeno 1.000/2.000. Tutto quello che riuscirò a fare in più (corsa/palestra/spinning) sarà buono ma metterò in atto un controllo e mi sottoporrò a verifica periodicamente tracciando l’attività fisica su Endomondo 
  3. Leggere: Negli ultimi tempi, un po’ distratto dai miei pensieri,  ho molto ridotto questa attività, sul mio comodino è rimasto bloccato qualche libro che non vorrei invecchiasse troppo. Mi pongo (visto che alle volte ci si trova ad affrontare letture un po’ impegnative) una media di almeno 2/3 libri al mese. Anche qui ho trovato modo di tenere controllata la situazione e mi sono iscritto su anobii 
  4. Curarmi: Possibile che non sappia quanto peso, che pressione ho se le analisi del sangue vanno bene? Sono in salute (direi) ma un controllo ogni tanto non sarebbe poi una cosa così sbagliata. Visto che tra l’altro da un po’ di tempo non lo faccio  voglio ricominciare a donare sangue ottenendo il duplice risultato, essere utile ed essere controllato fisicamente.
  5. Scrivere: Evitare che si fermi la polvere su questo blog, almeno un post a settimana potrebbe essere un buon inizio; non che abbia tanto da dire, né che debba accontentare lettori ma ho notato che ritrovare scritto quanto pensato, ritrovare sensazioni, emozioni del passato mi da l'idea dello scorrere del tempo e di come il processo di cambiamento stia avvenendo e in che modo . . . con la possibilità quindi, spero, di potere intervenire per indirizzare meglio la continuazione del mio cambiamento.
  6. Tempo per relax: Prendermi più tempo per cazzeggiare/incontrare amici/stare in compagnia/frequentare gente interessante magari riprendere ad andare al cinema.
  7. Silenzio: Fare più spesso “silenzio” eliminando molti rumori di fondo che mi ostino a mantenere attivi. Leggo che gli uomini non sono in grado di ragionare multitasking (le donne invece pare siano avanti un passo) ma non mi rassegno a fare le cose una per volta e per questo perdo in lucidità e organizzazione. Comincerò a tenere spento il pc completamente almeno un giorno al mese ed eviterò di farmi distrarre da troppe cose concentrandomi di più su quello che faccio (una cosa per volta)
  8. Ricerca: Cecilia nei suoi propositi ne mette alcuni anche circa la preghiera (come mi piacciono certe persone! Con la loro fede così pura) purtroppo io non mi sento così avanti ma voglio continuare, tramite letture e perché no anche consultando alcuni blog che ho identificato interessanti a questo scopo, come ad esempio il suo, ad esplorare il mondo della spiritualità e della religione di cui mi sento un profondo ignorante.
  9. Viaggiare: Voglio fare un viaggio “dei miei” . . . voglio tornare in Sudamerica almeno un paio di settimane; Cartagena e la mia Colombia non possono aspettare.
  10. Accidenti dovrebbe esserci sempre un punto 10 ma al momento non mi sento di aggiungere altro.
A questi obiettivi vorrei aggiungere anche un paio di buone intenzioni: Non ho idea se riuscirò ma cercherò di predisporre le cose affinchè abbia la speranza si realizzino anche questi desideri:
  • Vorrei imparare a dire di no senza essere sommerso dai sensi di colpa e
  • vorrei perdonare un po' di più le mie inadeguatezze.
Ecco, mi sembra sufficiente per ora.
Parto con questo . . . la lista è in divenire ma intanto diamo questi come punti fermi. Partiamo da qui, più avanti vedrò di verificare se sarò stato in grado di mantenere fede a questi propositi avvicinandomi agli obiettivi e decidere eventualmente di fare il grande salto verso ciò che è più importante.


mercoledì 4 gennaio 2012

Musica e sofferenza


Chiacchiero con la mia amica Fatima, creando, come sempre,  occasioni per riflettere.
Siamo diversi, una differente  cultura, diverse tradizioni ed abitudini ma questo non ci impedisce di essere curiosi sui rispettivi mondi e scoprire cose nuove.
Non so come si sia entrati in argomento musica ma, come spesso accade,  ne è seguito uno scambio di link con cui ci siamo mostrati i reciproci gusti. Fatima vive in nord africa immersa nella cultura araba ma non vive staccata dal mondo e quindi mi propone cose che anche io conosco; entrambi apprezziamo la musica classica e nel passato abbiamo scoperto punti di contatto, mi racconta come ultimamente le suona nell’orecchio un vecchio successo di Glora Gaynor “I will survive” cosa che mi fa sorridere immaginandola mentre canticchia con il capo coperto nella sua elegante e inseparabile sciarpa di seta .
Viene il tempo di mostrarle cosa ascolto io e mi fa notare come i nostri gusti siano proprio diversi.
Ok, ciò che è più rock e ruvido lei lo percepisce come rumore, non tento nemmeno di convincerla o di farle apprezzare suoni e ritmi tanto diversi da quelli che conosce e quindi vado su ciò che anche sul mio Ipod è sempre presente e la sua reazione è:

“Troppo triste! Devi cambiare il tuo repertorio queste cose sono troppo malinconiche, non ti fanno bene”

Immediatamente mi risveglia un ricordo, un libro letto, direi oltre un anno fa, forse due  “Alta fedeltà di Nick Hornby”.
E' la storia di un personaggio un po’ stralunato appassionato di musica (per molte cose, anche i gusti musicali,  abbastanza simile a me) pieno di strane ansie e paranoie (decisamente io) metodico e  per certi versi maniaco  (acc… riconosco diverse cose)
Comunque mi torna in mente una parte che cerco risfogliando il libro (mi sono riproposto di sottolineare in futuro i miei libri, porco cane!, il libro è pur sempre di 250 pagine e ritrovare un passaggio è quasi impossibile) ma niente da fare non mi riesce di trovarla anche se credo di ricordare la citazione con una certa precisione.

Non demordo, ricordo che dal libro è stato tratto anche un film, tra l’altro fatto abbastanza bene e molto fedele al libro e ai suoi dialoghi (con John Cusack, Jack Black, e  Lisa Bonet la figlia carina nella famosa serie televisiva I Robinson poi moglie di  lenny Kravitz :-) alle volte mi faccio paura per le cose tanto inutili che affollano la mia memoria) e cercando su internet trovo il dialogo riadattato per la versione cinematografica.

"Che cosa è nata prima: la musica o la sofferenza? Ai bambini si tolgono le armi giocattolo, non gli si fanno vedere certi film per paura che possano sviluppare la cultura della violenza, però nessuno evita che ascoltino centinaia, anzi, dovrei dire migliaia di canzoni che parlano di abbandoni, di gelosie, di tradimenti, di penose tragedie del cuore. Io ascoltavo la pop music perché ero un infelice. O ero infelice perché ascoltavo la pop music? "



Interessante disquisizione. In effetti credo di avere sofferto e il mio carattere si sia formato anche per la sovraesposizione di un certo tipo di musica.
Essere fan di gruppi come the Cure dark e tristi con testi di questo tipo
"Leave me to die
You won't remember my voice
I walked away and grew old
You never talk
We never smile
I scream"
non possono lasciare indifferenti, prima nastri, poi cd consumati nell'ascolto struggente.
Poi altri artisti malinconici come David Sylvian e per finire The Smiths . . .  segnano . . . .

Come posso sperare di essere diverso

"I am the son
And the heir
Of a shyness that is criminally vulgar
I am the son and heir
Of nothing in particular"




venerdì 30 dicembre 2011

Bilanci

Sarà per conformazione mentale, per studi, cultura, ma, in questo periodo, proprio mi è impossibile non fare bilanci.
La fine dell’anno, un po’ come per “l’esercizio sociale” di una ditta,  impone un ripensamento, la verifica del raggiungimento degli obiettivi e, neanche a dirlo,  ripensando ai sogni,  ai progetti,  alle aspettative che avevo  un anno fa in questo periodo (sono un vero ragioniere faccio sia bilanci preventivi che consuntivi) mi accorgo che anche questo “esercizio” è in perdita.

Non so, forse è normale, forse tutti  iniziando un nuovo anno hanno la tendenza a  riempirlo di aspettative, darsi obiettivi risolutivi per un cambiamento e per questo le altissime aspettative finiscono per essere ancor più spesso deluse; o forse capita solo a me. Fatto è che questo periodo,  proprio per il ripensamento di quanto è successo e la constatazione di tanti piccoli e grandi fallimenti,  risulta piuttosto nero.

Quest’anno voglio modificare questo modo di pensare, la constatazione di quanto poco ottenuto mi ha già depresso sufficientemente in questi ultimi giorni, voglio osservare il problema da un’altra angolazione.
Per ora tento di non formalizzare i sogni e le speranze per l’anno prossimo e mi voglio soffermare sul passato, lo osservo però con un occhio diverso. Visto che ho la tendenza a creare bilanci preventivi, obiettivi all’inizio del periodo,  risulta molto semplice misurare gli insuccessi determinati dal non raggiungimento degli stessi ma . . . . è corretto identificare il successo o l’insuccesso guardando solo la realizzazione di ciò che ci eravamo prefissati? Guardandomi indietro provo sempre la sgradevole sensazione di avere fallito, di non avere concluso niente di buono,  di avere tradito aspettative,  ma è realmente così?
Tutto è terribilmente immobile, statico, da così tanto tempo?
Provo a considerare tutto diversamente; non voglio verificare la realizzazione di obiettivi che mi ero prefissato ad inizio periodo (inutile nasconderlo . . .  vista così è andata male) ma proverò a guardare quanto ho fatto, quanto sono in qualche modo cambiato, quanto sono diverso e quanto non ho considerato questo cambiamento solo perché non era preventivato.
Proverò a creare una lista per visualizzare meglio, ma per evitare delusioni voglio prendere un periodo più lungo. Da dove sono partito? Come ero ad esempio 10anni fa? O anche meno, che è successo negli  anni 2000? Niente come mi sembra? O qualcosa di buono è accaduto?
Quel me tanto più giovane, cosa sperava, cosa contava di fare, cosa non avrebbe mai immaginato potesse accadere? Ecco la lista di ciò che è accaduto che potrebbe avere rilevanza
  • Ho conosciuto la tecnologia, ora pervade la mia vita  ad esempio internet 10  anni fa era praticamente una curiosità e il PC veniva impiegato solo sul lavoro. Quanti nuovi contatti e opportunità sono nati in questi anni per l’azione di un click,  ora ci sono abituato ma il cambiamento è stato epocale e mai avrei immaginato di immergermi in questo nuovo mondo.
  • Ho  cambiato lavoro prima con la speranza di, finalmente, sistemarmi poi l’ho fatto nuovamente per evitare di restare coinvolto in una crisi aziendale, alla fine l’ho riperso e ora mi sto rimettendo in gioco (in fondo non è andata male sono stato in grado di adeguarmi a fenomeni sfavorevoli)
  • Da non viaggiatore quale ero ho cominciato a viaggiare dal 2004, anno in cui ho fatto il mio primo passaporto; da allora sono stato 4 volte in Marocco, altrettante in Romania, 5 in Colombia, 1 in Venezuela, 1 in Spagna passando per la Francia (per essere sempre stato una persona che viaggiava e visitava luoghi con la fantasia tramite i libri,  di strada con il mio zaino in spalla ne ho fatta parecchia in questo periodo)
  • Avevo una relazione che ho perduto, ne ho costruita un’altra che pensavo avrebbe potuto essere quella della vita e mi ha quasi distrutto. Ora con i cocci in mano sto cercando di rimettermi in piedi.
  • Ho conosciuto tante persone nuove che, credo, mi accompagneranno lungo il cammino ancora per molto tempo. Persone fantastiche di ogni parte del mondo con cui ho condiviso momenti belli e brutti, che mi sono state vicine nei momenti difficili e da cui ho imparato molto.
  • Ho imparato una lingua straniera; Oddio dire che la parlo correttamente è un po’ eccessivo ma è più che sufficiente per comunicare e trovo modo di usarla spesso.
  • Ho realizzato un piccolo sogno che ha avuto successo, costruire un gruppo di sportivi attraverso il quale divertirsi , ampliare le amicizie e passare tempo assieme. Gruppo  che mi ha dato moltissime  soddisfazioni permettendomi  di incontrare tanti appassionati . E’ stata un’ottima palestra anche per imparare come relazionarmi con le persone, come gestire e organizzare impegni.
  • Sono entrato in contatto con la realtà dell’aiuto internazionale e mi sono impegnato all’interno di una onlus
Guardandola così, la lista, mi sembra di ripercorrere il mio decennio . . .tutto d’un fiato.

Cose ne sono successe tante e anche se ho fallito alcuni obiettivi, che sentivo necessari e che sono spesso motivi del mio essere depresso,  ho però anche la riprova che non sono stato immobile, mi sono evoluto, ho ottenuto traguardi e fatto esperienze.

Continuano a mancarmi alcuni punti che ritengo importanti, indispensabili per dare un senso al mio procedere  e che ho difficoltà a realizzare.
Li metterò nuovamente come obiettivi per l’anno prossimo nella speranza che oltre a cose non immaginate ma raggiunte,  anche questi, finalmente, mi consentano di chiudere il prossimo bilancio in positivo.

Che il nuovo anno cominci