lunedì 16 maggio 2011

Ruote e ingranaggi


Strano, la parola “ruote” la collego a quella con i raggi della mia bicicletta, come un bambino la “bici” è spesso mezzo non solo di puro divertimento ma anche simbolo.
Oggi però la ruota non è quella della bici ma, a poco più di una settimana dal mio ritorno, mi guardo intorno e vedo il mondo che mi circonda come composto dalle tante ruote dentate degli ingranaggi di un grandissimo e complicatissimo orologio.

Non so il perché di questa cosa, forse perché non ci capisco più niente (probabilmente non l’ho mai capito), tutto mi sembra complicato, o meglio, non riesco a capire la finalità, lo scopo, quello che io definisco “il perché”.
In questo gigantesco orologio con i suoi ingranaggi grandi e piccoli le ruote si dovrebbero muovere a diverse velocità, in senso orario e antiorario, veloci e lente ma in tutto questo caos non mi riesce di vedere “l’orologio”, il motivo di tutto questo affanno, rumore, movimento.
Alcune sono grandi e c’è chi non perde tempo a farmele notare, in questo momento non ho il lavoro e tutti (diciamo molti), forse anche giustamente, continuamente me la indicano mi invitano ad avviarla, a muoverla.
E’ strano … il mio orologio è fermo, vedo centinaia di ruote di ingranaggi, non so né a cosa servono, se saranno faticose da muoversi o piacevoli, se collegate ad altre o fini a se stessi eppure … eppure mi si invita a muovere questa, delle altre pare non importi a nessuno.

Il lavoro non mi ha mai spaventato, a parte ora, dalla più tenera età è stato un elemento sempre presente, preponderante, ha assorbito moltissimo del mio tempo e delle mie energie. E’ chiaramente servito ma . . . ora, senza congiunzioni con gli altri ingranaggi temo di perdermi nuovamente in un dettaglio, in un singolo grande sforzo che forse non farà muovere a sufficienza parti dell’orologio (sempre che sia un orologio) affinchè almeno qualche ticchettio consenta alle lancette di muoversi.
Credo tutti nella vita abbiamo dei progetti, delle speranze; se non nostri almeno sociali, seguiti o curati almeno per imitazione.
Quando avevo 14 anni è stato normale e sensato continuare a studiare anche senza ben sapere dove sarei andato, bastava guardarsi attorno ed era quello che anche altri, che mi pareva avessero successo, facevano. Quindi . . . bisognava studiare . . .
Terminati gli studi era una cosa ovvia iniziare il lavoro, “il perché” poteva essere anche non chiarissimo ma aveva una sua logica, “una autonomia economica”, la ricerca di una esperienza che si sarebbe potuta spendere anche nel futuro, un passaggio comune a tutti nel raggiungimento di un obiettivo.
Tutti seguivano questo percorso, non credo come pecore, alcuni con maggiore determinazione, altri aggiungendo “scopi” e “obiettivi” (carriera? Ricchezza?) ma la strada era quella.
E così il tempo è passato, senza mai pormi dubbi ho continuato la mia strada fino a che un giorno, un gran brutto giorno, mi sono fermato un secondo e mi sono guardato attorno.
Avevo fatto il medesimo percorso degli altri, avevo avuto le stesse motivazioni ma l’unica cosa che mi era rimasta era “il lavoro”. Ma come?! Il lavoro doveva essere il mezzo per costruire i miei progetti ed era l’unica cosa che, paragonato agli altri, mi era rimasta tra le dita.
Sicuramente ho compiuto qualche errore, sicuramente qualche mossa sbagliata, ma ora la mia strada diventa diversa. Ciò che per gli altri è normale per me è forse diventato irraggiungibile e ciò che gli altri fanno per me può non avere più senso non essendo più legato agli stessi obiettivi. Credo che le persone nemmeno si chiedano più del perché lavorino, hanno motivazioni chiare, famiglie, impegni presi, anche se può non piacere lo si fa perché è il mezzo per continuare a muovere tutti gli altri ingranaggi, la scuola dei bambini, la macchina nuova, la pensione, la famiglia, ma . . . per me?
No per me questo non ha proprio senso, un po’ come la benzina che tutti comprano per potere viaggiare in auto,io non posso continuare a fare scorta di carburante quando so che l’automobile non l’ho o che io, in fondo, non sto facendo il viaggio degli altri.
Occorre un ripensamento su tutto, non sono per niente tranquillo ma è necessario.
Prima di fare qualunque mossa bisogna che scopra il famoso “perché”, una motivazione, perché ora il rischio è veramente grande, buttare via una vita.
Non è tanto facile, l’imitazione che poteva funzionare all’inizio dove c’era tanta gente come me, con esperienze simili alle mie, con sogni come i miei ora non ci sono più, devo reinventarmi obiettivi e, alla fine cambiare vita.

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