Biglietto in tasca, pronto per la giornata, raggiungo plaza de las Heroinas da dove dovrebbe partire il mio bus per una gita lungo la ruta del Paramo.
Arrivo un po’ “lungo” (le 9.00 ora destinata alla partenza) ma non devo rincorrere il mio bus visto che l’organizzatore mi avvisa che non è ancora pronto e stanno recuperando i miei compagni di viaggio. Nel momento di vendermi il biglietto mi avevano messo un po’ fretta parlando di posti quasi tutti riservati ma ora scopro saremo solo, una coppia di Venezuelani, una coppia mista lui Australiano lei venezuelana, io e l’autista.
Sono molto cortesi, nell’attesa fanno di tutto per distrarmi e nell’occasione mi presentano un italiano che vive lì da tempo. Simpatico e atletico, avrà circa la mia età, capelli lunghi raccolti in una coda di cavallo scoperto che sono emiliano comincia a descrivermi tutti gli amici che abitano o sono passati di lì e sono miei corregionali. Lui è Pugliese, molto aperto e cordiale, a Merida sta da Dio e conclude il nostro incontro con un ottimismo tutto sudamericano “qui è fantastico, perché dovrei ritornare in Italia, lavoro meno e guadagno di più!”. Chissà che fa per campare se queste sono le condizioni in cui potrei rimanere bisogna che mi informi bene.
Arrivato il pulmino ho il posto d’onore a fianco dell’autista e dopo pochi minuti partiamo.
La nostra guida, Ricardo, snocciola informazioni, descrive i paesaggi, è preparato e professionale guida correttamente (cosa non così scontata qui) e fin dai primi km. descrive minuziosamente ogni cosa od ogni strada che attraversiamo. “Qui c’è un albergo, questa strada è quella dei pasticceri, qui è il palazzo di..”
Conosce tutto e tutti, spesso saluta le persone che incontriamo o accostiamo lungo la strada, con colpi di clacson attira l’attenzione dei passanti che saluta, insomma, questo suo viaggiare su e giù per il Paramo quotidianamente deve avergli permesso di conoscere parecchia gente lungo il percorso.
Dapprima un pezzo di strada piana uscendo dalla città dove sugli alberi (ma anche sui pali e sulla linea elettrica) crescono caratteristiche piante senza radici dette “barba de palo”. Il nome scientifico è Tillandsia ed è curioso vedere queste piante pendere dagli alberi come lunghe e fitte barbe. La loro rimozione è proibita e contribuiscono al microclima assorbendo umidità dall’aria nei periodi più piovosi e restituendone parte nei periodi un po’ più secchi.
Quindi si comincia a salire e si è sempre più avvolti da vocaboli di derivazione india; si oltrepassano una serie di paesi (Mucurubá Mucuchíes Mucumpiz Mucumpate Mucurubá) che contengono il suffisso “Mucu” che nella lingua nativa significa “luogo” fino a raggiungere un primo “monumento al perro nevado” a Mucurubá.
In Venezuela, come in altre nazioni del Sudamerica, l’eroe massimo è Simon Bolivar e non esiste paese che non abbia dedicato a questa figura almeno una piazza, una strada o un palazzo. Così è per il monumento “al Perro Nevado” che ricorda come nel passaggio del “Libertador” vi fu l’incontro con il signor Vincente Pinoche che regalò un cane di razza Mucuchies (una razza locale simile al S.Bernardo) utilizzato per fini militari ed eroicamente perito in battaglia tanto da commuovere lo stesso Simon Bolivar. Si tratta di un monumento recente ed è strano vedere come in un paese con una storia breve ci siano solo due tipi di monumenti o reperti storici: uno che ricorda le gesta del Libertador a inizi 800 e gli altri di storia recentissima.
Proseguiamo salendo sempre più e proprio a Mucuchíes troviamo la “Capilla de piedra”. Costruita da un personaggio stranissimo morto nel ’97 , ora per sue volontà sepolto all’interno, la Capilla è un originale piccolo edificio costituita da pietre non saldate tra loro da cemento. A caccia di turisti intorno alcuni personaggi tentano di vendere, a dir loro, cuccioli di razza Mucuchies che la nostra guida ci sconsiglia di comperare (ci mancherebbe comprassi un cane in Venezuela!)
Lasciamo i 3.150 metri slm di Mucuchíes per continuare a salire fino ad arrivare a Sierra de la Culata a 3.500 mt dove sono in cattività alcuni condor e dove riceviamo alcune informazioni circa questo grandissimo uccello.
Ingiustamente perseguitato per la convinzione fosse un predatore, si nutre in realtà solo di animali morti, è il simbolo di tutta la catena andina e compare nello stemma di diversi stati sudamericani come simbolo di libertà. Mi lascia stupito il sapere che sono stati avvistati esemplari in volo ad oltre 10.000 metri di quota.
A questo punto ripartiamo e saliamo di quota fino a raggiungere il punto più alto carrozzabile del Venezuela, 4.118 mt.slm , Pico el aguila dove lo spettacolo è mozzafiato. La guida mentre ci apre le porte ci consiglia prudenza nel muoverci, l’aria rarefatta potrebbe giocare brutti scherzi e invita tutti a non correre assolutamente e in caso di strani malori di sedersi prontamente a terra. Ad essere sincero mi stupisco perché non sento nessuna differenza e anche se salgo (lentamente non si sa mai) una collina su cui è posta una cappelletta in onore della vergine di Coromoto .
E’ il primo pomeriggio ed è ora di mangiare, scendiamo decisamente di quota e ci fermiamo in un ristorantino.
Le specialità sono tipiche della zona che produce essenzialmente Patate (papas), agli (ajo), cipolle (cebolla), fragole(fresa), arveja (dovrebbe essere un legume) , carote (zanahoria) ma anche tramite colture idroponiche altri ortaggi. Vista la purezza delle acque diffusa è la troticoltura.
Sono affamato e ordino un pranzo completo partendo con una arepa al formaggio (una tigella, opps meglio dire una crescentina, fatta però con farina di mais) a seguire una zuppa di arveja (veramente buona) e per finire, mi faccio incuriosire dal nome lomo alla mucuchia … dovrebbe essere … oddio .. non ricordo penso sia il dorso di mucca, bisogna che verifichi.
Comunque finalmente sazio risalgo sul nostro bus, scendiamo ancora di quota e a 3.342 mt.slm ci fermiamo al monumento della “Loca Luz Caraballo”.
La “Loca Luz Caraballo” è il personaggio di una poesia (veramente esistito) che il poeta vedeva passare nel paese dove era stato esiliato e che camminava tra due paesi contando il numero dei propri figli perduti (immaginari) sulle dita facendo continuamente avanti e indietro.
Il monumento è posto su una collinetta che si raggiunge salendo una ventina di alti scalini e . . . sono a causa dell’altitudine spezza gambe, riesco ad arrivare in cima con il cuore in gola salendo con regolarità mentre i miei compagni di avventura che chiacchierano e scherzano sono costretti a un paio di soste. Dalla cima si gode uno spettacolo surreale, sullo sfondo il centro astronomico con le sue cupole, il monumento alla “loca” (pazza) e intorno valli e montagne.
Il sole comincia a scendere e anche noi rientriamo in città dopo esserci fermati a curiosare uno strano castello (un hotel) costruito da un italiano alcuni anni fa sulle sue memorie di bambino.
Lasciamo i miei compagni ai vari alberghi e riaccompagnandomi al punto di partenza il mio autista mi ricorda l’italiano della mattinata.
“E’ un ragazzo simpatico, disponibile e buono, se vuoi chiacchierare con un connazionale vienilo a trovare, vedrai che anche lui sarà contento”
Io che voglio scoprire il suo segreto mi informo esattamente dove trovarlo, "che fa ha un negozio?"
Risposta: “no lo trovi lungo la strada dove abbiamo l’agenzia” e io “ma che lavoro fa?” ……
“Beh … sai, cambia dollari , euro cambio valuta in nero” …. Ecco che un altro mito cade sul far della sera . . . . .
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