lunedì 21 marzo 2011

Caracas


E alla fine dopo altre circa 10 ore di volo ecco Caracas.
Il viaggio è andato bene, ero così stanco che sono anche riuscito a dormire per buona parte del tragitto.
Al mio fianco una ragazza, chiaramente sudamericana,  che avidamente legge un romanzo e non stacca  gli occhi dal libro un minuto. Mi sono preparato per lei una serie di domande cercando di renderle più chiare possibili nel mio sconclusionato spagnolo,  cercherò una occasione per intervistarla e chiedere informazioni.
Mezzora prima dell’atterraggio ci consegnano i moduli da compilare per l’immigrazione, io sbircio i suoi dati e vedo “città di provenienza: Milano” (Cavoli che fortuna! Sicuramente parla italiano e sarà più facile con le mie domande) e pare anche lei faccia altrettanto perché mentre termino di compilare mi chiede: “Ma sei italiano? Ti avevo sentito parlare e non avrei mai creduto”
Questo mi fa molto piacere e ora so che quando ho chiesto un succo d’arancia alla hostess o mi sono scusato con lei per averla fatta alzare dal posto per andare in bagno sembravo, in quella occasione, un madrelingua (che cosa ridicola) non posso dire di più visto che altre parole non mi pare di avere pronunciato.
A questo punto superato lo scoglio dell’idioma e dell’approccio parto con i miei quesiti e curiosità venendo a conoscenza del fatto che da tre anni vive in Italia ed è impiegata come ingegnere chimico per la ENI.
E’ una ragazza interessante e intelligente, per il suo futuro ancora non sa bene che farà; in Italia ha dei contratti a tempo determinato, problemi per questo motivo con il visto da rinnovare continuamente, ma non le dispiacerebbe rimanere. Il suo fidanzato che la aspetta in aeroporto la incontrerà proveniente dalla Colombia. “Che storia!” lei trova lavoro in Italia, lui in Colombia, sono una coppia di emigrati all’estero ma parecchio lontani uno dall’altra.
Non riesce a darmi molte informazioni, non è di Caracas ma della costa a Nord, ha però l’indirizzo di un albergo “sicuro” e non troppo costoso e visto che non so se riuscirò a raggiungere per tempo il terminal dei bus o se potrò trovare un biglietto mi appunto l’indirizzo.
Mi spiega come fare il cambio moneta (qui una cosa un po’ originale) e anche se il cambio non ufficiale potrebbe essere decisamente più vantaggioso anche del doppio scatta la domanda … “ma tu sei solo?” e io “sì certo”  ed ecco arrivare le raccomandazioni:
“Devi  stare molto attento, devi diventare maniaco della prudenza, sempre all’erta mi raccomando”
Guarda il portafoglio che tengo in mano con il passaporto e comincia a consigliarmi:
“Nascondi tutto, quando cambi il denaro stai attento e cambia poca valuta, non farti notare e”  dice nascondendo il suo smartphone nella borsa “non tenere niente in vista, per colpa di questo telefono potrei trovare qualcuno disposto ad ammazzarmi!”
Andiamo bene! Io ho con me un portatile e mica può sparire.
La saluto  e la ringrazio avviandomi ai banchi dell’immigrazione (chissà se mai la rivedrò), quindi passo dall’ufficio per il cambio e dal nastro trasportatore ritiro la valigia (YAUHHHH! Anche questa volta non è andata persa) avviandomi all’uscita.
Esco tra due ali di folla che mi chiedono se voglio cambiare euro . . . in effetti  come previsto mi offrono quasi il doppio del cambio ufficiale. Superato questo gruppo e avvicinandomi all’uscita ecco i taxisti o pseudo tali. Ne cerco uno autorizzato, non voglio avere guai, ed ecco il primo stupore seguendo il mio autista.
Proprio davanti all’uscita il taxi, una megajeep di lusso completamente nera con simbolo sulle fiancate della compagnia, vetri oscurati e blindati! Mi accomodo al mio posto e dopo avere informato l’autista circa la mia meta, lui entra e appena dentro blocca le portiere. Mi sembra di essere in un telefilm americano che so CSI, rilassato viaggio con una superauto vetri blindati e oscurati come fossi una rockstar. Mi intrattengo amabilmente in chiacchiere con l’autista. . . MA CHE FACCIO! Io lo spagnolo non lo parlo! Ma pare sia sufficiente per una conversazione,  mi sento fin troppo calmo e sicuro (non è da me) anche se il mio autista guida in modo stranissimo tenendo sempre grandi distanze con chi lo precede quasi per essere sempre sicuro di non venire bloccato ed avere comunque una via di fuga,  nonostante le raccomandazioni mi sento sicuro,  niente può andarmi storto mi sento un po’ come l’ufficiale di apocalypse now patito per il surf (Robert Duval se ricordo bene) e che anche in mezzo alla battaglia è imperturbabile e di cui tutti hanno la certezza non gli succederà nulla.
Oddio, bisogna che sia più prudente ma nonostante gli avvisi e il “movimento” non mi sento in pericolo e non riesco a percepire la paura.
Raggiungiamo in un’ora la stazione dei bus e il mio autista, molto gentilmente e con un buon senso degli affari si offre per aiutarmi a comprare il biglietto, dovessimo non riuscirci mi accompagnerà ad un’altra stazione presso un’altra compagnia  .
E invece riesco a fare il biglietto per un bus che partirà nel giro di 5 minuti (che tempismo!), saluto e pago l’autista, vengo accompagnato sul bus per un viaggio che dovrebbe durare almeno 12 ore.
Sono contento, tutto perfetto anche nei tempi ma salendo sull’automezzo rimango nuovamente stupito.
Il viaggio sarà lungo ma le poltrone del bus sembrano quelle della business class di un aereo e si trasformano reclinandole in un letto comodissimo su cui dormire.
Lascio Caracas e le sue luci (mi è sembrata una città caotica e stranissima per quel poco che ho potuto vedere) mi accomodo e alle 19.00 ora locale (in Italia 22.30) riparto e mi addormento.
Ore 00.15 fermo chissà dove in Venezuela mi sgranchisco le gambe e scrivo del giorno passato, l’autobus fa una sosta e approfitto per scendere.
Dove sono? … “io sono qui” … non so nient’altro


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